Disabilità: alcuni pensieri.
Il riferimento deve essere la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (13/12/2006), ratifica dal Governo Italiano con la legge n. 18 del 3 marzo 2009. Una convenzione che non riconosce nuovi diritti che piuttosto intende assicurare che i disabili possano godere, sulla base degli ordinamenti degli stati di appartenenza, di tutti i diritti riconosciuti agli altri consociati, in applicazione dei principi di pari opportunità.
CASA
Aspetto importante per dare compimento al binomio vita autonoma ed inclusione nella comunità, riconoscendo l’eguale diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella comunità con la stessa libertà di scelta delle altre persone, con pieno godimento di tale diritto e della piena inclusione e partecipazione all’interno della comunità. Per questo si deve dare piena attuazione alla legge del “Dopo di noi” (n.112 del 22 giugno 2016) che promuove un processo di de-istituzionalizzazione e che apre nuove prospettive esistenziali per le persone con disabilità e per i loro familiari, attuando quel “diritto alla vita indipendente” inteso come libertà di scelta di dove e con chi vivere, favorendo una concreta opportunità per l’affermazione e l’esercizio della propria autodeterminazione.
I maggiori oneri per la personalizzazione di questi (e degli altri) interventi dovrebbero essere premiati in termini di defiscalizzazione.
LAVORO
Il concetto di lavoro si associa a quelli di creatività, produttività, autostima, realizzazione dei propri desideri e soddisfacimento dei propri bisogni. Inoltre il lavoro è fonte di rapporti sociali, di scambio e di confronto ed è forse il modo più evidente per combattere la discriminazione culturale e sociale.
L’attuale normativa è la legge n. 68 del 12 marzo 1999. Un insieme di norme che garantiscono un collocamento non solo obbligatorio ma mirato, grazie ai servizi di sostegno e alla cooperazione di tutti i soggetti coinvolti, abbandonando la filosofia assistenzialistica delle leggi precedenti, strutturando nuove regole, sul principio di un collocamento dei disabili che rispetti non solo le potenzialità lavorative ma anche le inserisca e le integri pienamente all’interno dell’azienda che le assume (ultimamente ci sono stati degli interventi del governo per l’implementazione di figure e di organizzazione degli uffici di collocamento). I dati in questi anni non sono stati incoraggianti. Nel 2020 meno del 35% dei disabili ha un lavoro e le agevolazioni fiscali per le assunzioni nonché le sanzioni per le non assunzioni, indicate dalla legge, non sono servite per garantire l’inserimento e l’esigibilità di tale diritto.
Negli ultimi anni si è cercato di mettere in campo strumenti per attivare sinergie tra più servizi in rete tra di loro, puntando ad interventi in tema di “accomodamenti ragionevoli” (Convenzione ONU) che vanno oltre i meri adattamenti fisici o tecnologici dell’ambiente lavorativo e che consistono soprattutto e preliminarmente nella conoscenza, nell’accoglienza e nella valorizzazione della persona disabile (disability manager, tutoring). Tali strumenti hanno portato risultato nell’inserimento lavorativo di persone con disabilità e alla costruzione di buone prassi per favorire l’integrazione lavorativa dei disabili. Bisogna per ciò puntare su queste sinergie e prassi per renderle strutturali.
Importante strumento di promozione, formazione e avviamento al lavoro sono le cooperative sociali di inserimento lavorativo (le cosiddette “di tipo B”), attraverso le quali la persona disabile viene inserita non solo in un percorso occupazionale, ma in una vera e propria esperienza di autogestione imprenditoriale. Un canale diffuso sul territorio, ma ancora non adeguatamente valorizzato, soprattutto nelle sue flessibili possibilità di affidamento di servizi e lavori da parte della Pubblica Amministrazione.
ACCESSIBILITÀ
La disabilità ha cessato di essere tema relativo all’assistenza da connettere alla solidarietà per divenire questione di diritti umani, partecipazione e cittadinanza. La condizione delle persone disabili, grazie anche all’adozione della Convenzione ONU, cessa di essere un problema individuale che muove compassione, poiché si accede al comprendere la disabilità quale condizione rispetto al contesto sociale e questo fa si che gli interventi transitino dal singolare al sistemico.
Il rapporto uomo-ambiente è cruciale anche rispetto al fenomeno della disabilità, riconosciuta come risultato dell’interazione tra le persone con menomazione e il mondo che le circonda che, in ragione di barriere di vario tipo, esclude ed emargina. La progettazione universale (“Universal design”, art. 2 Convenzione ONU) si riferisce ad uno specifico modo di produrre beni e pianificare le aree urbane. Quattro i punti essenziali:
non esiste un essere umano uguale ad un altro;
chi progetta deve tener conto di questa diversità insopprimibile;
la progettazione di beni e di servizi deve tener conto che esiste una utenza che può avere difficoltà nell’uso degli stessi;
il dovere di progettare in maniera che l’ambiente, i beni e i servizi siano accessibili a tutti gli individui in modo comodo, libero e senza necessità di assistenza e di insicurezza.
Tali disposizioni non sono dedicate solo alle barriere architettoniche. Infatti le misure da adottare includono “l’identificazione e l’eliminazione di ostacoli e barriere all’accessibilità” in termini generali, il che vuol significare: edifici, strade, trasporti e altre attrezzature interne ed esterne agli stessi, nonché servizi di informazione, comunicazione e altri, compresi quelli elettronici e di emergenza. Per cui sarebbe importante la revisione della legislazione sull’abbattimento delle barriere architettoniche che in alcune parti non è chiara rispetto a queste indicazioni e lascia spazio a fraintendimenti, come la modalità dell’accompagnamento per il godimento di un bene o servizio, inteso non come possibile scelta ma come unica scelta possibile.
Nel caso della mobilità, con il concetto di pianificazione temporale e del rapporto col tempo, la Convenzione ONU afferma che questa va garantita alle persone con disabilità “nei modi e nei tempi da loro scelti ed a costi sostenibili”. Quindi il diritto alla mobilità va realizzato, insieme alla maggior indipendenza possibile, garantendo libertà di scelta, l’accesso ad ausili per la mobilità a costi sostenibili e facilitandola nei modi e nei tempi, scelti dalle persone con disabilità e non delle compagnie di trasporto (sia pubbliche che private): organizzazione, infrastrutture e strumenti in generale a misura di tutti gli individui.
VITA INDIPENDENTE
Tutto quanto esposto precedentemente si sostanzia nella condizione di una vita indipendente come enunciata dalla Convenzione ONU e si fonda nel riconoscimento dei diritti di libertà di scelta, su base di uguaglianza, del proprio luogo di residenza, dove e con chi vivere senza obbligo alcuno, di accesso a servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, come l’assistenza personale. Tutto quanto necessario per vivere nella società ed inserirsi impedendo isolamento e segregazione facendo sì che i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe anche a disposizione delle persone con disabilità e adatte ai loro bisogni.
Per rendere questa condizione attuabile serve che il nostro welfare riconosca il diritto alla vita indipendente. C’è bisogno quindi di lavorare, per prima cosa, sull’aspetto legislativo cambiando la nozione attuale di vita indipendente, che non è solo andare a vivere da soli. Bisogna far sì che ogni persona con disabilità sia titolare del proprio progetto individuale di vita indipendente e che abbia il diritto di essere supportata nella definizione dello stesso. Questo progetto deve essere inoltre redatto sulla base delle preferenze e degli obiettivi da lei/lui espressi e in base alle condizioni di vita e ai suoi bisogni. Un progetto che può essere oggetto di modifiche solo se richieste dall’interessato o dal suo rappresentante legale. Limitazioni delle possibilità di autodeterminazione non possono giustificare interventi di sostituzione delle decisione delle persone con disabilità.
Un progetto che guardi al lavoro, al tipo di vita, alla casa, alla dimensione sociale, alla vita affettiva della persona con disabilità. Questo si fa con una valutazione multidimensionale, una co-progettazione per far emergere aspettative, desideri, preferenze e bisogni per la formazione di un budget di progetto che viene dopo il progetto individuale di vita indipendente e che risponde non al “cosa non può fare” ma al “cosa vuole fare”. Quindi risorse che cambieranno da un progetto individuale ad un altro perché non vi è una risposta buona per tutti. Un progetto scritto dalla persona che ne è il titolare e un budget di progetto che recuperando e unendo tutta la frammentarietà delle risorse lo sostenga.
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